Autore: Avv. Valeria Cianciolo Foro di Bologna
Sulla presunta incapacità di testare del beneficiario di AdS: possono ritenersi implicitamente applicabili divieti e limitazioni?
Nota a Tribunale di Bologna, sent. 3 settembre 2021
di Valeria Cianciolo – Avvocato del Foro di Bologna
Il caso. A Caio affetto da neoplasia che gli aveva causato un deficit della capacità di autodeterminazione e gestione degli interessi economici, era stato nominato un amministratore di sostegno. Nel 2019 il G.T. confermava la nomina dell’AdS evidenziando, come le patologie psichiatriche riscontrate a carico del beneficiario, impedissero di sottrarlo al regime protettivo/sostitutivo già in essere. Il decreto che confermava la misura di protezione nulla diceva in ordine alla capacità del beneficiario di fare testamento.
Alla sua morte, la moglie separata Mevia e i figli Primo e Secondo, convenivano Filana dinanzi al Tribunale felsineo al fine di dichiarare nullo, ovvero annullare o comunque dichiarare inefficace il testamento olografo del congiunto ed in via subordinata, la reintegrazione delle quote ereditarie a loro spettanti, quali legittimari, ai sensi degli artt. 553 e segg. cod. civ.
Secondo la convenuta Filana, il testamento di Caio che la nominava erede universale, non doveva essere autorizzato dal Giudice Tutelare o redatto con l’assistenza dell’amministratore di sostegno, avendo il de cuius conservato sempre integra la capacità di intendere e di volere, fino all’epoca del decesso, essendo stato lucido, collaborante, orientato nel tempo e nello spazio, come pure attestato dal medico curante della struttura nella quale era stato inserito. Lo stesso CTU definisce il de cuius orientato nel tempo e nello spazio, sebbene profferisse frasi sconnesse in merito alla propria situazione patrimoniale ed apparisse completamente inconsapevole dello stadio ormai terminale del proprio male.
Il Collegio felsineo ha rigettato l’istanza di parte convenuta ritenendo che il de cuius fosse assolutamente incapace di intendere e di volere al momento di redazione della scheda testamentaria, accogliendo così la domanda di annullamento del testamento avanzata da parte attrice.
La questione. La disciplina dell’amministrazione di sostegno di cui alla legge 9 gennaio 2004, n. 6 non prevede alcun raccordo con la materia afferente gli atti personalissimi, quali la donazione, il testamento e il matrimonio, mentre invece, il codice civile, relativamente ai minori, agli interdetti e agli inabilitati, nel prevedere questi strumenti negoziali, lo fa attraverso norme puntuali che richiedono specifiche autorizzazioni.
Il silenzio normativo ha costretto la giurisprudenza a chiarire i rapporti tra l’amministrazione di sostegno e gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione trattandosi di istituti diversi fra di loro da ostacolare l’estensione analogica delle disposizioni codicistiche in tema di interdizione e l’inabilitazione e amministrazione di sostegno.
La decisione del Tribunale di Bologna del 3 settembre 2021, dunque, desta alcune perplessità.
Si parta innanzitutto da una considerazione: l’interdizione non rende nullo il testamento, ma solo impugnabile e sia l’inabilitazione che la nomina di un amministratore di sostegno non sono strumenti che si riverberano automaticamente sulla capacità/incapacità di testare.
Si aggiunga poi con riferimento all’amministrazione di sostegno che, se nel decreto di cui all’art. 405 cod. civ. nulla si dice in merito alla capacità di testare del beneficiario, ad avviso della dottrina dominante, va considerato capace in nome della regola enunciata nell’art. 409, co. 1, cod. civ. secondo cui «il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno» (Lisella, Questioni tendenzialmente definite e questioni ancora aperte in tema di amministrazione di sostegno, in Nuova g. civ. comm., 2013, II, p. 292). Se al testatore è stato nominato un AdS, questo di per sé non è indicativo di una ridotta capacità (l’incapacità è un eccezione nell’ottica dell’istituto dell’AdS), trattandosi di un elemento che può avere una lettura ambivalente: da un lato, infatti, si può affermare che il deficit cognitivo, piccolo o grande che sia, ha portato alla misura di protezione; ma in senso opposto, si può ugualmente affermare che se, nel valutare la situazione di salute fisica e mentale del beneficiario, il giudice non ha ritenuto necessario inserire nel decreto alcuna specificazione in ordine alla capacità di testare, non vi è ragione di sospettare della capacità dello stesso a disporre per testamento.
Quanto poi alla possibilità d’imporre d’ufficio dette restrizioni, basta ricordare da un lato, l’art. 405, 5 co., n. 3 e 4, cod. civ. (poco sopra richiamato) che, imponendo al giudice tutelare d’individuare gli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in nome e per conto del beneficiario, e, quelli che quest’ultimo può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore, gli consente di conformare il contenuto del provvedimento alle esigenze di protezione emergenti dall’istruttoria espletata; dall’altro, il disposto dell’art. 407, 4 co., cod. civ. che attribuisce al giudice il potere di modificare od integrare, anche d’ufficio, in qualsiasi momento le decisioni assunte con il decreto di nomina dell’amministratore. Si conferma così che, sebbene il provvedimento debba essere assunto a seguito di ricorso, secondo la testuale previsione dell’art. 407, 1 co., cod. civ. e dell’art. 411, 4 co., cod. civ., nell’adozione delle relative determinazioni, il giudice non è obbligato ad attenersi alle richieste delle parti. Modifica che nel caso di specie, il G.T. ha ritenuto di non fare al momento in cui ha confermato nel 2019, la nomina dell’AdS. E qui, si può ipotizzare che lo stesso G.T. avrà ritenuto i comportamenti del beneficiario – sulla base dell’acquisizione di certificati medici aggiornati e specifici, dell’audizione e della verbalizzazione del colloquio e delle volontà del beneficiario della misura di sostegno - non come sintomatici di una incapacità assoluta di intendere e di volere - avrebbe previsto nel decreto di conferma l’impossibilità di fare testamento o donazioni - ma di una personalità stravagante ed eccentrica. E’ vero sì che i decreti di nomina degli amministratori di sostegno dovrebbero essere dettagliati come vorrebbe la legge, ma un decreto che conferma la nomina di un AdS sulla base di una documentazione medica, dovrebbe prevedere quantomeno un’integrazione come quella di non fare testamento oppure che la ritenuta incapacità del beneficiario di amministrazione di sostegno necessiti dell’apertura del giudizio di interdizione. Ovviamente, se mai ve ne siano i presupposti che nel caso, non c’erano. Ne consegue che il giudice tutelare si limita, in via di principio, a individuare gli atti in relazione ai quali ne ritiene necessario l’intervento, senza peraltro determinare una limitazione generale della capacità di agire del beneficiario: il giudice tutelare non si muove, come il giudice della interdizione, nell’ottica dell’accertamento della incapacità di agire della persona sottoposta al suo esame, ma nella diversa direzione della individuazione, nell’interesse del beneficiario, dei necessari strumenti di sostegno con riferimento alle sole categorie di atti al cui compimento lo ritenga inidoneo (Cass. civ., sez. I, sent. 29 novembre 2006, n. 25366).
Il Collegio felsineo si è limitato a caducare la scheda testamentaria, ritenendo presuntivamente sussistente, un grado di incapacità pari a quello presupposto per l’interdizione quando invece, avrebbe dovuto valutare, non tanto la natura e la gravità della malattia, ma il rapporto causale tra questa e il processo volitivo dell’atto.
A conferma di quanto esposto, si consideri poi che recentemente la giurisprudenza di legittimità ha fissato il seguente principio: “In tema di amministrazione di sostegno, il giudice tutelare può prevedere d'ufficio, ex art. 405, co. 5, nn. 3 e 4, cod. civ., e art. 407, co. 4, cod. civ., sia con il provvedimento di nomina dell'amministratore, sia mediante successive modifiche, la limitazione della capacità di testare o donare del beneficiario, ove le sue condizioni psico-fisiche non gli consentano di esprimere una libera e consapevole volontà, essendo tuttavia esclusa la possibilità di estendere in via analogica l'incapacità di testare, prevista per l'interdetto dall'art. 591, co. 2, cod. civ., al beneficiario dell'amministrazione di sostegno.” (Cass. civ., 28 agosto 2020, n. 18042). Tale pronuncia si innesta su un filone inaugurato dalla Consulta nel 2019 con una sentenza che ha dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 774, co. 1, primo periodo, cod. civ., in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte dei beneficiari di amministrazione di sostegno, poiché questi conservano la capacità di donare, salvo che il giudice tutelare, anche d’ufficio, ritenga di limitarla – nel provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno o in occasione di una sua successiva revisione – tramite l’estensione del divieto previsto per l’interdetto e l’inabilitato. (Corte cost., sent. 10 maggio 2019, n. 114).
La stessa Consulta ha già chiarito che “secondo il nuovo testo dell'art. 411 cod. civ., comma 4, il Giudice tutelare, nel provvedimento di nomina dell'amministratore di sostegno, o successivamente, può disporre che "determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, si estendano al beneficiario dell'amministrazione di sostegno". Ne discende che in nessun caso i poteri dell'amministratore possono coincidere "integralmente" con quelli del tutore o del curatore...” (Corte cost., 9 dicembre 2005, n. 440). In sostanza, il provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, a differenza del provvedimento di interdizione e di inabilitazione, non determina uno status di incapacità della persona, a cui debbano riconnettersi automaticamente i divieti e le incapacità che il codice civile fa discendere come necessaria conseguenza della condizione di interdetto o di inabilitato. Al contrario, come risulta dalla giurisprudenza di legittimità, l’amministrazione di sostegno si presenta come uno strumento volto a proteggere senza mortificare la persona affetta da una disabilità, che può essere di qualunque tipo e gravità (Cass. civ., sez. I, sent. 27 settembre 2017, n. 22602). La normativa che la regola consente al giudice di adeguare (o modellare) la misura alla situazione concreta della persona e alla rete di protezione di cui usufruisce nonché di variarla nel tempo, in modo tale da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile a fronte del minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione (Cass. civ., sez. I, sent. 11 maggio 2017, n. 11536).
Al riguardo, secondo la Consulta, tutto ciò che il giudice tutelare, nell’atto di nomina o in successivo provvedimento, non affida all’amministratore di sostegno, in vista della cura complessiva della persona del beneficiario, resta nella completa disponibilità di quest’ultimo. E ciò perché la relativa disciplina delinea una generale capacità di agire del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, con esclusione di quei soli atti espressamente menzionati nel decreto con il quale viene istituita l’amministrazione medesima. Per l’effetto, al beneficiario di amministrazione di sostegno non si estende il divieto di contrarre matrimonio (atto personalissimo, al pari della donazione e del testamento), previsto per l’interdetto dall’art. 85 cod. civ., salvo che il giudice tutelare non lo disponga esplicitamente con apposita clausola, ai sensi dell’art. 411, comma 4, primo periodo, cod. civ. Deve, pertanto, escludersi una generalizzata applicazione delle limitazioni dettate per l’interdetto, per via di analogia, al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, dato che quest’ultima misura è sempre volta a valorizzare le residue capacità del soggetto debole (Cass. n. 11536 del 2017).
Pertanto, secondo la Consulta, in questa ricostruzione del sistema codicistico riveste grande importanza l’art. 411, co. 4, primo periodo, cod. civ., secondo cui il giudice tutelare, nel provvedimento con il quale nomina l’amministratore di sostegno, o successivamente, può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni.
Ciò implica che, in assenza di esplicita disposizione da parte del giudice tutelare, non possono ritenersi implicitamente applicabili divieti e limitazioni previsti dal codice civile ad altro fine.